Guidare in città non mi piace, ma
quando devo inerpicarmi per le strade d'Appennino, alla ricerca di borghi segreti, l'automobile rimane ancora il mezzo migliore.
Prima di tutto, mi permette la massima
libertà: posso decidere di partire anche all'ultimo momento, in
qualunque giorno e a qualunque ora me ne venga voglia.
Prima di andare consulto la carta
stradale, ma poi seguo l'impulso del momento.
Posso fermarmi quando e dove voglio,
magari per fissare in uno scatto l'irripetibile variazione della
luce.
Inoltre, posso avventurarmi in certe
irresistibili stradine secondarie, attratta dall'indicazione di
un'antica pieve minore, dall'insegna per la rivendita di formaggi di
un pastore, o dal bizzarro cartello di un artista-eremita.
Ricordo l'eccezionale incontro di
alcuni anni fa, con il solitario abitante di un castello sulla strada
da Massa Marittima a San Galgano, in Toscana.
Mi ero fermata per
chiedere informazioni e mi trovai subito ospite del padrone di casa e
dei suoi cani, in un ampio e spoglio salone, riscaldato solo da un
enorme camino.
Chissà se abita ancora lì.
Scelgo con cura cosa ascoltare in viaggio, fra quelle che definisco "musiche da viaggio".
Quando guido in autostrada metto un CD che ho acquistato in Mongolia
: sembra incredibile, ma le sue melodie, che rievocano acusticamente selvagge cavalcate nell'immensità della steppa, si adattano benissimo anche allo scorrer dell'asfalto.
La strada diventa così una pista nella
prateria e l'auto è il mio cavallo, che galoppa nel vento.
Sui percorsi secondari invece
preferisco musica classica o d'ambiente, che si accordi col paesaggio
circostante.
Se c'è poco traffico e posso guidare
rilassata, entro in uno stato quasi meditativo, dal quale spesso
spuntano idee creative e risposte a lungo cercate.
Ammetto che alcune strette e
serpeggianti strade montane mi mettono un po' d'ansia. Temo di
trovare ostacoli o di incrociare qualche camionista malandrino, come
mi successe una volta.
Adoro invece infilarmi nei boschi,
guidando sotto gallerie fitte di rami. A seconda della stagione, la
luce ombrosa si accende di smeraldo o d'oro, proiettandomi sempre in
una dimensione di magìa silvestre.
Per mangiare, preferisco fermarmi nei piccoli paesi, in quei negozi di alimentari un po' polverosi, con annesso
bar-ristorante, dove si trovano ancora vecchie saponette Camay o la
Diavolina per accendere il fuoco.
Spesso suscito la curiosità di
titolare e clienti e ne approfitto per chiacchierare e chiedere
informazioni, scoprendo magari piccoli tesori non riportati sulle
guide.
A rendermi felice, basta un panino, o
una schiacciata all'olio imbottita di prosciutto nostrano, divorata
davanti al belvedere, o nello spiazzo di un bosco. Se poi,come a
volte accade, trovo una fontana di acqua sorgiva, riempio la
bottiglia o la borraccia e proseguo il mio viaggio in libertà.
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